Elogio dell’essenzialità.

[In questo articolo si riprendono e ridiscutono alcuni temi già toccati in La prima cosa che ho imparato a un corso di scrittura]

Falla breve

L’esperienza di lettura, nel tempo dei social e della tecnologia smart, si fa sempre più rapida e concentrata. Io ad esempio consulto decine di volte Facebook o le edizioni online dei quotidiani sullo smartphone, ma quasi sempre per una fruizione istantanea: mi bastano un titolo – o almeno pretendo mi basti -, poche righe, magari quelle in grassetto, per cogliere il senso di quello che voglio sapere. Ho sempre poco tempo per tutto, e allora esigo dai testi on line di essere asciutti, concisi, essenziali.

Questa fretta che mi accompagna nelle letture mobile si attenua appena nella lettura off line di giornali o riviste o free-press che arrivano a domicilio. Cerco di concedermi tempi e modi più rilassati nella lettura dei libri, ma alcuni improbabili ritagli di tempo che mi sto ricavando (ad esempio mentre aspetto che mio figlio liberi il bagno, o che termini la pubblicità tra il primo e il secondo tempo di una partita di calcio) mi avvertono che la contaminazione è in atto.

Sia come sia, sono giunto al punto che anche quando leggo narrativa non sopporto più i giri di parole. Se in un libro trovo delle pagine che mi lasciano una sensazione di inutile riempitivo, per un po’ mi sforzo di continuare, ma se l’impressione persiste, finisco per abbandonarlo. Non mi piace concedere la mia attenzione (il mio tempo) senza avere in cambio qualcosa di interessante o di bello. Il mio tempo voglio sprecarlo da me.

Avere più tempo

Non amare le lungaggini è un difetto che condivido con illustri compagni. Tra gli altri, il nostro caro amico Anton Cechov, che sul tema della sintesi si è espresso in più occasioni:

La brevità è la sorella del talento.

È strano, adesso ho la mania della brevità; qualunque cosa legga, mia o di altri, nulla mi sembra abbastanza breve.

Scrivete un romanzo. Scrivetelo per un anno intero, poi abbreviatelo per mezz’anno.

L’arguto Samuel L. Clemens – meglio noto come Mark Twain – invece la metteva così: Se avessi più tempo, scriverei un racconto più breve. La quale battuta introduce un altra questione fondamentale: in narrativa la brevità non è un punto di partenza, ma un punto di arrivo.

Diceva Raymond Carver: Bisogna scrivere di getto e buttare tutto fuori. Solo allora capirete di che cosa parla il vostro racconto. Spesso uno scrittore non sa cosa dirà fin quando non vede quello che ha detto. Ma poi diceva ancora, citando un insegnamento di John Gardner: Se si può dire in quindici parole invece che in venti o trenta, allora dillo in quindici parole.

Le fasi della scrittura sono – almeno – due, dunque. Se nella prima stesura si deve scaricare su carta tutto quello che passa per la testa, alla ricerca di una storia e di un senso, nelle revisioni e nella riscrittura successive conviene invece lavorare di limatura, tagliando quello che non serve, concentrandosi sul nocciolo, sulla sostanza che vogliamo arrivi al lettore.

Se mi si perdona la semplificazione, si potrebbe quasi dire che scrivo per me e riscrivo per il lettore. Dove per riscrittura si intende un processo di progressione graduale verso una versione definitiva (idealmente irraggiungibile) che richiede tempo e pazienza. Non c’è scampo: ci vogliono tempo e pazienza. Del resto, chi ha mi detto che sarebbe stato facile?

Zio Wiggily

2 Risposte a “Elogio dell’essenzialità.”

  1. Ci sono più tipologie di lungaggini. Me ne vengono in mente un paio.
    La più immediata è quella di Aranzulla e le sue pagine web dove spiega anche come tirare lo sciacquone riempiendo lo spazio di parole che manco la carta igienica.
    Un’altra è la mia, tipica di chi non sa spiegarsi bene, non so se sia caratteriale o dovuta dalla povertà di conoscenza, o ancora, e mi sembra che si accentui in questo periodo di Covid19, dallo stare spesso da sola senza parlare con nessuno.
    Le parole vengono meno, non riesco a darne una giusta definizione, e ne uso tre al posto di una. Da qui il timore di non spiegarmi genera una sorta di effetto boomerang.

    Ecco che anche per un messaggio al cellulare, osservo tre fasi.
    Nella prima scrivo.
    Nella seconda elimino
    La terza è dedicata alla comprensibilità.

    Grazie Zio W.

    1. Ciao Cricca,
      divertente l’osservazione su Aranzulla, che è bravo, furbo e spesso, come giustamente noti, poco sintetico.
      Le tre fasi del messaggio al cellulare hanno senso, brava: l’importante è non fermarsi alla fase 1. Per quanto su quel mezzo (il cellulare appunto) si possa ammettere velocità e mancanza di revisione.

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