Il cliente preferito

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Pubblicato (con podcast) su rivista inutile il 25 maggio 2022


«Buongiorno signor Giuseppe. Come va, tutto bene?»

Giuseppe guarda in basso, dondola la testa e si rifugia nel solito «Sì, grazie.»

«Come va, tutto bene?» gli chiede ogni volta Annamaria, e per Giuseppe non sarebbe una domanda facile. Bisognerebbe pensarci bene, valutare la salute personale in rapporto all’età, la situazione della famiglia, le notizie sentite al telegiornale, l’umore del momento. “Tutto”, per Giuseppe, comprende un bel po’ di cose. La prima volta che gli era stata rivolta quella domanda si era quasi spaventato. Gli era parsa una questione enorme, che aveva a che fare con il senso della vita. Ma poi aveva pensato che se te la pone una donna che sta aprendo una scatola di vasetti di yogurt in piedi su uno sgabello, non può essere una domanda seria, deve valere solo come una specie di saluto, tipo Come ti sei svegliato oggi? o Hai fatto una buona colazione?

Qualche volta Giuseppe ha avuto la tentazione di chiedere pure lui Come va? ad Annamaria, ma poi ha pensato che si vede anche senza chiederglielo che ad Annamaria va tutto bene. O almeno le va sempre tutto allo stesso modo, che poi è uguale.

Giuseppe arriva in negozio tutti i lunedì alle otto e mezza, appena aprono. E così ha fatto anche oggi – tanto è sveglio dalle cinque. Non ci sono quasi mai altri clienti a quell’ora, e lui può girare tra i reparti con calma, senza nessuno che gli passi davanti mentre sta scegliendo i fusilli, o che lo spinga mentre legge il nome del formaggio in offerta. Impugna uno dei cestini blu impilati all’ingresso, e inizia il suo giro. Nel reparto frutta si infila i guanti igienici, soppesa sei mele golden rigirandosele nella mano sinistra – quella integra – e deposita le tre mele più verdi dentro a un sacchetto. Chiude, pesa, attacca l’etichetta, un euro e quarantuno, e adagia nel cestino. Appallottola il guanto scuotendo la testa. A sinistra delle arance ci sono fragole dalla Spagna a tre euro e quarantanove alla vaschetta.

I crostoli sono scontati del venti per cento: dopodomani è il mercoledì delle Ceneri. Ma non gli piacciono, quei crostoli industriali. Una volta li ha provati: erano spessi e duri, e troppo aromatizzati alla vaniglia. Neanche da mettere a confronto con quelli bollosi e fragranti che gli faceva Teresa.

Ci dedicava un pomeriggio intero, Teresa, a fare i crostoli. Ne riempiva quattro terrine e tre teglie. Poi due terrine le regalava ai figli, e una la portava a Berto, che ricambiava regalandole qualche litro di latte delle sue mucche. Giuseppe e Teresa preferivano una giornata di brutto tempo per mettersi a fare i crostoli. A dire il vero faceva tutto lei, dall’impasto alla stesura della pasta con la macchinetta, dal taglio delle strisce alla frittura. Giuseppe serviva solo la mattina, per raccogliere le uova nel pollaio, poi, mentre Teresa armeggiava in cucina, lui si spostava a lavorare in laboratorio, a sistemare una sedia, cambiare il vetro di una finestra o il piano di un tavolo per qualche vecchio cliente che ancora lo cercava.

Da quando era andato in pensione, nel novantasei, Giuseppe qualche lavoretto da falegname aveva continuato a farlo. Aveva smesso del tutto solo tre anni fa, dopo che la sega a nastro gli aveva tranciato le punte dell’indice e del medio. Era solo, quando era successo. Si era fasciato le dita con il fazzoletto sporco ed era andato in cucina a telefonare al 118. Il pezzo del dito medio l’aveva raccolto dalla segatura, mentre la falangetta dell’indice era rimasta attaccata al resto della mano con un po’ di pelle. Gli era accaduto proprio l’inverno successivo all’estate in cui un’emorragia cerebrale aveva ucciso Teresa.

Anche se dopo aprivano le finestre e le porte del piano di sotto per fare corrente d’aria, l’odore di fritto dei crostoli stagnava a lungo nella casa, impregnava i vestiti e i capelli, si intrufolava anche in camera da letto. Gli dava quasi la nausea, svegliarsi con quell’odore la notte. Un odore inconfondibile, che non sentirà più.

Annamaria sistema la merce zampettando tra gli scaffali. A Giuseppe è simpatica, lo aiuta a fare la spesa. Gli legge la scadenza stampata in piccolo sulle buste delle mozzarelle e lo avvisa sugli sconti in corso. Due anni fa gli ha anche tolto mezzo euro sul secondo acquisto di fiori finti, dopo che i primi si erano rovinati per il temporale del trenta ottobre. È sempre gentile, solo una volta l’ha sentita parlare in modo irritato. Era dietro alla porta con la scritta Privato, stava parlando al telefono con la figlia quindicenne. Le diceva che non poteva uscire finché non finiva le due ore quotidiane di esercizi al pianoforte. “Se non capisci queste cose sei una deficiente,” l’aveva sentita urlare.

Annamaria sarà poco più di un metro e cinquanta, ma sembra più alta per via delle scarpe col tacco o la zeppa molto spessi. È graziosa, proporzionata, ha degli occhi verdi ben spalancati, e si colora le unghie, che tiene sempre molto lunghe, di giallo. È molto diversa da Teresa. Non da quando Teresa era vecchia, quello per forza, ma anche da Teresa all’età di Annamaria. Teresa era più alta e robusta, aveva gli occhi scuri, portava le scarpe basse e le unghie corte.

Quando Giuseppe termina i suoi acquisti, ci sono già altri tre clienti in giro per il negozio, però il primo ad arrivare alla cassa è lui. Annamaria si è messa sugli occhi una maschera di carnevale. Una mascherina semplice fatta a otto e ricoperta di brillantini dorati, tenuta da un filo elastico che gira dietro alla testa. Giuseppe dispone sul nastro le due mozzarelle, i tre barattoli di carne per la sua cagnolina Dana, il sacchetto con le tre rosette, le tre mele golden, la confezione di spaghetti e il litro di latte nel tetrapack. Non spende mai più di dieci euro.

Beep.

«Una mattina proprio fredda questa, vero?» osserva Annamaria.

«Davvero,» sussurra Giuseppe.

Beep.

«L’acqua nella ciotola della mia cagnetta era tutta ghiacciata,» commenta Giuseppe qualche secondo dopo.

Beep.

«Già, il termometro della macchina mi segnava meno tre stamattina alle sette e mezza.»

Beep.

«Ormai siamo alla fine di febbraio, speriamo siano gli ultimi freddi.»

Beep.

«Otto euro e ottantadue centesimi,» annuncia Annamaria.

Giuseppe esplora il portafoglio. Cinque euro di carta ce li ha, se avesse tre euro e ottantadue di moneta farebbe contenta Annamaria. Una moneta da due euro c’è, una da uno anche. Solo che di centesimi ha una moneta da cinquanta e tre da dieci. Annamaria ha già finito di infilargli quello che ha comprato in una borsetta di plastica, e qualcun altro si sta avvicinando alla cassa. «Mi dispiace, le devo dare dieci euro,» si risolve Giuseppe, estraendo la banconota. Mentre attende il resto, da uno scomparto trasparente del portafogli osserva l’immagine impettita di Teresa che lo guarda. È un santino stampato per il funerale. Vivrai per sempre nel cuore di quanti ti vollero bene, c’è scritto dietro. Era già vecchia Teresa nella foto, ma aveva i capelli castani, scuri, perché non voleva vedersi con i capelli bianchi, e si faceva la tinta in casa, mettendosi dei guanti sottili usa e getta come quelli del reparto ortofrutta. «Pazienza, ma il resto non lo spenda, lo tenga per la prossima volta che viene,» si raccomanda Annamaria, mentre con le mani becca gli spiccioli per Giuseppe negli scomparti delle monete.

«Grazie che mi ha imbustato la spesa,» dice Giuseppe porgendo la mano per accogliere il resto.

«Per il mio cliente preferito lo faccio volentieri,» ribatte Annamaria, che sembra avere gli occhi più grandi dietro a quella maschera dorata da fatina.

Annamaria l’ha chiamato il mio cliente preferito già un’altra volta, prima di oggi. A Giuseppe piace essere chiamato così, gli ricorda quando Teresa scherzando lo chiamava il suo marito preferito. Che poi era una frase che aveva sentito per televisione.

«Arrivederci, e buona giornata.»

Giuseppe si ferma davanti alle porte scorrevoli dell’uscita, ma non troppo vicino, per non farle aprire. Otto euro e ottantadue. Si era fatto il conto della spesa mentalmente mentre riponeva i prodotti nel cestino, e ricorda che aveva calcolato poco più di otto euro. Estrae lo scontrino dalla borsa della spesa, sfila gli occhiali dalla tasca interna del giubbotto e legge le righe: sono sommati tutti e tre i barattoli di cibo per il cane, mentre Annamaria gli aveva detto che c’era il tre per due. Dovrebbe tornare indietro a reclamare, ma quasi si vergogna. Se ha controllato lo scontrino significa che non si è fidato, e che è uno che se la prende per settanta centesimi. Però magari è solo un errore del registratore di cassa, e potrebbe anche fare un favore ad Annamaria segnalandole che la promozione Prendi Tre Paghi Due non viene conteggiata in modo automatico nello scontrino. Come sempre, aver trovato una motivazione nobile alla sua azione lo convince a muoversi. Rimette in tasca gli occhiali e avanza a piccoli passi verso la cassa.

Annamaria gli dà le spalle, sta facendo il conto a Pietro. Giuseppe non vuole disturbarla mentre è con dei clienti: parlare del problema del barattolo davanti ad altri gli sembra poco educato. Quindi attende, silenzioso, che finisca. Settanta euro e rotti ha speso Pietro. Ma lui ha preso il carrello grande, quello che si sgancia infilandoci l’euro, mica il cestino blu. Ha comprato anche un vassoio di crostoli, e paga con la carta di credito. Annamaria lascia a Pietro un buono sconto da settanta centesimi per dei ravioli alla zucca. A Giuseppe non l’ha consegnato, ma del resto lui non acquista quasi mai i ravioli. Ora Annamaria sta aiutando Pietro a riporre la spesa nelle borse. È rivolta verso lo scivolo di raccolta dando le spalle al registratore di cassa. Racconta a Pietro del freddo e dei tre gradi sotto zero segnati dalla macchina. Chissà se gli dirà anche dell’acqua ghiacciata della mia Dana, pensa Giuseppe. Ma Annamaria non lo dice. Invece, quando Pietro la ringrazia per l’aiuto con l’imbustamento della spesa, aggiunge: «Non c’è di che. È sempre un piacere aiutare il mio cliente preferito.»

Mentre porge l’ultima borsa a Pietro, Annamaria si accorge di Giuseppe. La sta fissando in modo strano, e la stranezza sta nel fatto che le mantiene gli occhi addosso, e non li abbassa come fa di solito. Giuseppe si sta strofinando lentamente le dita tagliate sul palmo della mano sana, e a Annamaria sfugge una rapida contrazione delle labbra. Non le è mai piaciuto quel vecchio, con quel suo giubbotto dalle tasche enormi dove si potrebbe nascondere anche mezzo chilo di pasta. Le attraversa la mente il pensiero che Giuseppe stia male, e possa crollare lì dov’è, dietro alla cassa, lungo il corridoio di uscita del suo negozio. Abbattuto da un collasso, con le mele e le lattine per il cane che rotolano via, e della salsa di pomodoro che cola da un vasetto e si allarga vicino alla testa. Arriverebbero l’ambulanza, la barella, dei medici in camice bianco che si affannerebbero accanto al vecchio praticandogli un massaggio cardiaco.

«Arrivederci signor Pietro, buona giornata. Signor Giuseppe, ha dimenticato qualcosa?», chiede Annamaria tornando al suo solito sorriso. «Ciao Giuseppe,» saluta Pietro uscendo. Giuseppe non risponde a Pietro, ma continua a guardare Annamaria, e gli sembra quasi di non riconoscerla, dietro a quella maschera gialla. Abbassa lo sguardo sullo scontrino, ma senza occhiali è tutto sfocato. Gli pulsano delle fitte sulle ossa delle dita tagliate. Settanta centesimi in più. I pasti di un giorno per la sua cagnolina.

«Qualcosa non va signor Giuseppe? Si sente bene?»

«Niente, mi scusi, niente. Sto bene, mi ero solo confuso. Avevo fatto un conto sbagliato.»

«Ah, perfetto. Arrivederci allora.»

Giuseppe torna verso l’uscita, si chiude il giaccone fin sotto il mento e recupera la sua spesa. Quando si spalancano le porte respira a fondo, come fa sempre quando esce. Gli sembra di piangere, ma deve essere l’aria fredda, che gli pizzica il naso tanto da fargli salire le lacrime agli occhi. Il campanile batte le nove, e due signore anziane entrano nel negozio parlando di cervicali. Una lo saluta, lui ricambia, ma non si ricorda chi sia. Si asciuga con la manica una goccia che gli sta scendendo dal naso.

Quando arriverà a casa accenderà subito il fuoco, senza aspettare le undici come fa di solito, perché è stanco. È stanco di tutto questo freddo. Se ne starà seduto sul divano a guardare la legna bruciare dentro alla cucina. Se ne starà così, senza mangiare, tanto da qualche tempo non ha mai fame. Magari, anche se Teresa non sarebbe stata d’accordo, farà venire dentro Dana per un po’. La cagnolina si sdraierà docile ai suoi piedi, e lui ogni tanto, con la mano buona, le passerà una carezza lenta sulla testa.

Zio Wiggily

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