La prima cosa che ho imparato a un corso di scrittura: la funzionalità

Ritratto-Cechov

Quando dico La prima cosa che ho imparato a un corso di scrittura intendo, per la precisione, la cosa più importante che ho imparato al primo corso di scrittura che ho frequentato. E per più importante voglio dire la più utile per me in riferimento a come scrivevo io in quel momento.

Il corso in questione mi richiede una trasferta fuori città di tre giorni in una delle scuole di scrittura più prestigiose d’Italia. La mattina degli scrittori affermati ci tengono delle lezioni a tema (esempi di temi: punteggiatura, punto di vista, personaggio), al pomeriggio invece partecipiamo a dei laboratori condotti da dei tutor, editor presso delle case editrici nazionali tipo Einaudi o Mondadori. Prima di andare al corso abbiamo mandato dei nostri racconti brevi, tremila caratteri scritti per l’occasione a partire da uno spunto suggerito nel modulo di iscrizione. Questi raccontini costituiscono la base di partenza del nostro lavoro nei laboratori.

Leggo il mio testo tutto emozionato verso la metà del pomeriggio del primo giorno di corso. Mi pare un lavoretto brillante, con un suo incipit d’impatto, un finale a sorpresa, uno svolgimento corretto. Quando finisco, mi sembra che anche gli altri corsisti lo apprezzino – soprattutto la ragazza alta dai dolci occhi scuri. La tutor, invece, mi massacra un paio di capoversi. Ok l’italiano, passi la storia, ma non ho rispettato una delle leggi fondamentali del racconto. Quale? Tutto deve essere funzionale alla storia, ogni frase deve essere necessaria, in termini di definizione dei personaggi o di sviluppo della vicenda. Soprattutto in un racconto breve, rincara la tutor, non sono ammesse divagazioni inutili, e io nello specifico ho inserito nel racconto un paio di aneddoti spiritosi che non servono a niente, che possono essere rimossi senza che ne risenta il senso dello scritto, e quindi ho sfruttato male i miei tremila caratteri. (La nostra temuta tutor ci dirà poi che in un romanzo si potrebbe ammettere maggiore tolleranza, ma comunque solo per brani giustificati da una qualità estetica molto alta, qualità che – sottintende – non può risiedere nei nostri scritti della domenica)

L’insegnamento, per quanto appreso in modo brutale direttamente sulla mia pelle, lo ritengo oggi tra quei principi fondamentali che dovrebbero comporre la forma mentis di ogni aspirante scrittore. Si tratta di un principio che si collega, e in buona parte di sovrappone, ad altri noti principi di narrativa, come ad esempio la cosiddetta “pistola di Cechov”, secondo cui se a un certo punto appare una pistola sul caminetto, più avanti nella storia quella pistola deve sparare. Il richiamo alla funzionalità di quello che scrivo mi serve molto anche in fase di riscrittura, quando valuto se conviene rimuovere qualche aggettivo o tagliare qualche periodo (se ricordi Antoine de Saint Exupéry, “La perfezione si ottiene non quando non c’è più nulla da aggiungere, ma quando non c’è più niente da togliere”).

Chiaro quindi? Non sprecare parole, ma approfitta di ogni frase per dare sostanza al tuo racconto.

Zio Wiggily

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