Soprannomi: Budspencer e gli altri

A volte, per gioco, invento soprannomi. In certe situazioni in cui non ho niente di meglio da fare, la trovo una attività divertente: esercito la creatività assegnando nomi alternativi alle persone.

Il soprannome, che risponde a esigenze di concretezza e a ricerca di espressività, spesso scherz. e iron., ha sempre un significato trasparente, alludendo per lo più a caratteristiche fisiche della persona cui è riferito (per es., il Rossola Biondail Moro e il Morinoil Barbarossa, dal colore dei capelli e del pelo; il Lungoil Magro, dalla corporatura; il Guerciolo Storpiolo Sciancatolo Sfregiato, da imperfezioni), a particolari attitudini e qualità (per es., il Gattola Volpe, e altri nomi di animali assunti a simbolo di doti e difetti; il Mangiail Trinca, derivati dai rispettivi verbi; talora consiste in una locuz., come Testa di ferro), al luogo di nascita o di provenienza (per es., la Romaninala Toscaninail Marsigliese), a circostanze varie (Senzaterra, ecc.) [Treccani.it].

Con un soprannome una persona esce dall’anonimato della massa e diventa un personaggio, acquista un rilievo narrativo, ci fa sentire osservatori di una storia. Se mi presentano il Muto, non posso aspettarmi un chiacchierone, così come è meglio che cerchi di mantenere le distanze da uno detto il Cimice. E se il Diavolina lo dovrei riconoscere da alcune cicatrici di ustione, Sandokan sarà quello dai lunghi capelli e dalla folta barba. Meno immediato sarà verificare il grado di servilismo verso il capoufficio dell’impiegata soprannominata Lewinsky, mentre il Grassone potrebbe essere chiamato, per contrasto, uno molto snello.

Parecchi anni fa fui ricoverato in un reparto di Otorinolaringoiatria per un piccolo intervento al naso. Il tempo in ospedale è diverso da fuori, si vive la lentezza delle attese, le ore si ripetono monotone. Cominciai in quella occasione, per distrarmi, ad assegnare dei soprannomi alle persone che stavo conoscendo.

Bud-Spencer

Budspencer (II e I). Era il mio compagno di camera, un bonaccione barbuto di poche parole e di grossa stazza. Pesava oltre 130 chili, praticamente il doppio di me. Quando si rigirava nel letto si udivano degli stridori e dei cigolii come di ponte levatoio. Un difetto della rete, secondo lui. Di notte russava da far vibrare i vetri delle finestre, con apnee inquietanti. Ho provato a conficcarmi quanto più cotone possibile nel condotto uditivo, ma non c’era scampo, non ti lasciava dormire in pace. A suo modo era anche generoso, perché quella sera che fu servita una cena più ricca del solito si offrì di finire la mia razione di peperonata. Questo Budspencer di Otorinolaringoiatria mi fece venire in mente un primo Budspencer di tredici anni prima, enorme e pacioso compagno di camera di quella volta che ero ricoverato in Chirurgia per l’appendicite. La sera prima dell’intervento mi consegnarono del lassativo da assumere per via orale. “Quanto devo prenderne?” “Tutto il flacone,” mi rispose l’infermiere. Vedendomi perplesso, Budspencer I cercò di tranquillizzarmi: “Bevi senza problemi, non è cattivo, e poi a me ha fatto poco”. A lui aveva fatto poco, io invece passai tre ore a contorcermi seduto sul water, pregando si calmassero le dieci anguille impazzite che mi erano spuntate dentro alla pancia. Al ritorno in camera, stravolto, recuperai la confezione del lassativo dal cestino. Un cucchiaio dopo i pasti, prescrivevano le indicazioni posologiche. Ecco, sarà stato che io l’avevo preso a digiuno.

Sineddoche. Sineddoche: Figura retorica che risulta da un processo psichico e linguistico attraverso cui, dopo avere mentalmente associato due realtà differenti ma dipendenti o contigue logicamente o fisicamente, si sostituisce la denominazione dell’una a quella dell’altra. La relazione tra i due termini coinvolge aspetti quantitativi, cioè i rapporti parte-tutto (una vela per la barca), singolare-plurale (lo straniero per gli stranieri), genere-specie (i mortali per gli uomini), materia prima-oggetto prodotto (un bronzo per una scultura in bronzo) [Treccani.it]

Soprannominai Sineddoche l’infermiera che accompagnava i dottori in visita perché usava nominare “la parte per il tutto”: il tutto Budspencer diventava per lei la parte “le tonsille”, e io non ero identificato con il mio nome ma come “il setto nasale”. Per lei non eravamo persone intere, ma soltanto la parte anatomica da curare. Sineddoche portava in camera un senso di ordine e di azienda, era precisa e professionale, ma, devo dire, anche fredda come un fonendoscopio appoggiato a tradimento sulla schiena.

Jack. Era il chirurgo che ci ha operati. Jack starebbe per Jack lo Squartatore. All’inizio lo chiamavo Psycho, per quel suo guardarsi in giro nervosamente come avesse la polizia alle calcagna. Diventò Jack lo Squartatore due giorni dopo l’intervento, quando ci venne a visitare in camera. Budspencer lamentò un bruciore in mezzo alla gola che non aveva mai avuto e Jack ammise, con qualche imbarazzo, che accidentalmente il suo affilatissimo e infallibile bisturi oltre alle tonsille aveva… zack! asportato anche un pezzetto di ugola. Un pezzo piccolo piccolo, e del resto per un bisturi era difficile muoversi in una gola così grassa. Budspencer non la prese bene, si alzò dal letto, piantò Jack nel pavimento con un pugno in testa e rovesciò gli infermieri con dei ceffoni. Così mi piacerebbe raccontarla, ma andò diversamente: il mio Budspencer non obbiettò niente, e si limitò a chiedere per quanti giorni ancora gli sarebbe toccata quella ipocalorica dieta liquida che lo stava sfinendo.

Michelle. (Paragrafo per soli uomini) Avete presente Michelle Pfeiffer in Ladyhawke? Chi preferisce le donne in carne magari non se la ricorda, ma per me lei era un mito di bellezza femminile. Fu il giorno prima delle dimissioni che la vidi sfilare per i corridoi del reparto. Aveva due occhioni blu da togliere il fiato. E che dire di quelle ginocchia dalla rotula perfetta? (Era estate, vestivamo pigiamo corti). Seduta vicino a me nella saletta della televisione, mi raccontava con una impareggiabile grazia delle sue tonsille e di una recente appendicite, di punti di sutura purulenti e di puzzolente vomito. Era vissuta in reparto anche lei tutta la settimana, ma io prima non me n’ero accorto. Prima non ero mai riuscito a guardare oltre la punta del mio naso. Soltanto ora finalmente la stavo vedendo bene. Ero tornato sensibile alla bellezza: ero guarito.

Michelle Pfeiffer by Eva Sereny ca 1985

Zio Wiggily

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